Una lettura moderna dell’insegnamento di Aldo Gorfer, autore della più completa serie di guide turistiche del Trentino, che offre idee interessanti per chi, come le Pro Loco, agisce in prima persona per valorizzare il territorio montano.
Aldo Gorfer (1921 – 1966) è uno tra gli esponenti più importanti della vita culturale trentina della seconda metà del Novecento. Giornalista di professione, a lungo caporedattore de l’Adige, si è dedicato con risultati straordinari alla stesura di numerose guide del Trentino, opere che sono ancora oggi considerate delle pietre miliari nella produzione letteraria locale. Con un occhio da giornalista ma anche da antropologo e da geografo, ha saputo descrivere con attenzione e precisione la vita, il territorio e il lavoro dell’uomo nelle valli trentine.
Ancora oggi, il suo insegnamento è utile per chi desidera agire per valorizzare il suo territorio in una forma diversa e originale rispetto a quella turistica cui siamo soliti riferirci.
La valorizzazione del territorio è intesa in questo campo come messa in luce di un paesaggio che viene definito “paesaggio culturale”, che significa considerare il territorio come insieme di elementi naturali e elementi modificati dall’uomo. Nel caso del Trentino, il paesaggio culturale è composto per la maggior parte dalla montagna abitata, cioè quella delle nostre valli.
Oggi la sfida per chi opera nella valorizzazione dei territori di montagna è trovare la sua strada tra l’idealizzazione, lo sfruttamento turistico e la qualità della vita degli abitanti.
Nel suo testo “Eredi della solitudine” (1973) Gorfer analizza le condizioni di vita nei masi di media ed alta montagna del Sudtirolo. E’ a partire da questo testo che l’antropologo Annibale Salsa estrapola tre aspetti fondamentali della montagna, utili anche a noi per capire meglio alcuni aspetti del nostro territorio che forse non siamo soliti considerare: il primo è l’ambivalenza, cioè la compresenza di sublime ed orrido, di bellezza e di pericolo, insita nella montagna. Infatti, si dice, la montagna o la si ama o la si odia. Il secondo aspetto è quello dell’esotico, della montagna come “deserto verde” in contrapposizione con la frenesia della città: la montagna, insomma, come fuga dal quotidiano. Il terzo aspetto è quello della resistenza: partendo dal caso estremo dei contadini che vivono nei masi di alta montagna, Gorfer rintraccia questa caratteristica in tutti gli abitanti della montagna, che devono, secondo l’autore, sviluppare una resistenza alle difficoltà climatiche, di collegamenti stradali, all’isolamento di alcuni periodi dell’anno. Annibale Salsa, con il sguardo da antropologo, afferma che oggi la sfida per chi opera nella valorizzazione dei territori di montagna è trovare la sua strada a metà tra questi tre aspetti: tra l’idealizzazione, lo sfruttamento turistico e la qualità della vita degli abitanti.
Secondo Salsa, la politica dello sviluppo delle aree montane deve mettere al primo posto il miglioramento delle condizioni di vita per gli abitanti della montagna: solo in questo modo si può poi ragionare su un suo sviluppo anche turistico. Senza l’elemento del paesaggio culturale, fatto di persone che abitano la montagna, la montagna perde totalmente il suo valore anche a livello turistico. Per miglioramento di condizioni di vita in montagna, Salsa intende un concetto esposto da Gorfer nel testo suddetto, che indicava in particolare una gestione del suolo di tipo comunitario, come accadeva per esempio con le Regole (a Ragoli e Madonna di Campiglio, a Faedo…): le Regole stabilivano un uso comune del territorio dell’alta montagna che ha permesso la sua preservazione allontanandolo dalla frammentazione che deriva dall’uso privatistico del suolo. Anche se ovviamente non si può oggi tornare ad un modello di pianificazione ormai storicizzato, si può però cercare di mettere in atto delle politiche di salvaguardia degli spazi comuni che argini la spinta verso la privatizzazione della terra (pensiamo ad esempio ai danni causati in molti contesti naturali dagli impianti di risalita). Ma volando più basso, e lasciando la gestione del territorio a chi ne ha la competenza, da questo intervento si può sicuramente trarre un messaggio utile per chi, come noi, opera in modo concreto sul territorio: quello che ci dice l’antropologia è che, per essere davvero utili, le nostre azioni dovrebbero sempre partire da una motivazione che non sia solamente turistica, ma che in primo luogo procuri una ricaduta positiva a chi abita quel territorio. Solo così le nostre azioni portano risultati che sono sia più apprezzati da chi vivrà il territorio per turismo, sia benefici per il futuro del nostro territorio, che è la nostra grande risorsa.
Opere principali di Aldo Gorfer
• I castelli del Trentino, con introduzione di Antonio Zieger, Trento, Monauni, 1958.
Trento città del Concilio: ambiente, storia e arte di Trento e dintorni, Trento, Monauni, 1963; 2. ed.: Trento, Arca, 1995.
• Guida dei castelli del Trentino, Trento, Saturnia, 1965.
• Solo il vento bussa alla porta, Trento, Saturnia, 1970.
• Gli eredi della solitudine. Viaggio nei masi di montagna del Tirolo del sud, Calliano, Manfrini, 1972.
• Le valli del Trentino. 1: Trentino occidentale, Calliano, Manfrini, 1975; 2: Trentino orientale, Calliano, Manfrini, 1977.
• Emigrazione trentina (con Renzo Gubert e Umberto Beccaluva), Calliano, Manfrini, 1978.
• Terra mia. Paesaggio sacro, paesaggio contadino, quando la gente si trovava assieme, Trento, Saturnia, 1980
• Il pane di Sant’Egidio. Genti e paesaggi dell’Alto Adige, Trento, Saturnia, 1983.
• I castelli del Trentino. Guida, Trento, Provincia. Servizio beni culturali, 1985-1994.
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