Da tradizione in via di estinzione a risorsa per le nuove generazioni: la nuova vita della scultura in legno della Val di Fassa
di Oriana Bosco
Il nostro è un territorio fatto per la gran parte di boschi: oltre che chi li utilizza come risorsa per le attività primarie c’è chi in Trentino, da secoli, trasforma il loro prezioso legno in forma d’arte.
Sono gli scultori della Val di Fassa, pochissimi oggi ma numerosi fino a qualche decennio fa, eredi di una sapienza antica trasmessa di padre in figlio in cui i confini tra artigianato e arte sfumano.
Tutta la lavorazione viene fatta in casa: dalla scelta del legno più adatto, all’incisione dei “zocchi”, alla loro colorazione, fatta anche questa rigorosamente a mano da pittrici locali.
In Val di Fassa la scultura del legno è legata da sempre a due tipi di prodotti: la produzione delle facère, le maschere tradizionali del Carnevale Ladino, e le statue a soggetto sacro, in particolare i personaggi del presepe.
Queste piccole opere d’arte hanno uno stile caratteristico: la loro unicità le rende oggetti pregiati, molto ricercati dagli appassionati. Almeno fino a qualche anno fa, quando questo era ancora un mercato fiorente.
“Forse la tradizione non deve per forza rimanere sempre uguale a se stessa. Forse rimane qualcosa, oltre al suo valore affettivo.”
Negli ultimi anni infatti la domanda di questi manufatti è notevolmente calata, portando scompiglio tra le famiglie degli scultori e soprattutto tra i più giovani, combattuti tra il timore di lasciare andare una tradizione familiare sentita come identitaria e la necessità di adeguarsi ai tempi per sopravvivere. Un bivio insidioso.
Sono stata a visitare uno degli ultimi laboratori rimasti nella valle: ho avuto un momento di smarrimento quando, tra le statue tradizionali e i bellissimi presepi, mi sono trovata davanti a una cassa WIFI: “E’ fatta con il legno di Vaia, come gli occhiali” mi dice il ragazzo con il grembiule blu e lo scalpello in mano.
Alle sue spalle, quello che immagino essere suo padre, anche lui scalpello in mano, non mi guarda neanche, concentrato com’è sugli ultimi ritocchi al suo Cristo pronto per finire su un capitello.
Guardandomi meglio in giro mi sono accorta che non erano quelli gli unici oggetti che, alla mia mente legata a un’immagine precisa della scultura fassana, risultavano insoliti. C’erano piccole farfalle colorate.
“I turisti oggi vogliono cose più piccole e economiche”, profumatori con trucioli di cirmolo e poi fotografie di bellissime stanze arredate in legno: “Adesso stiamo iniziando anche la produzione di mobili su misura: ce li chiedono anche da fuori regione” mi spiega lo scultore giovane.
E la tradizione della scultura dipinta del presepe c’è ancora, gli chiedo. “Continuiamo a portarla avanti, ma in misura ridotta solo per pochi estimatori che ce la chiedono da tutta Italia. Grazie a questi nuovi prodotti possiamo tenere in piedi entrambe le cose”.
Sono uscita dal laboratorio un pò confusa. Forse la tradizione non deve per forza rimanere sempre uguale a se stessa. Forse rimane qualcosa, oltre al suo valore affettivo, e sono le competenze che ha fatto maturare a questi scultori, che diventano gli strumenti per reinventare il loro futuro.
Apro il pacchettino del regalo che mi sono appena fatta: la pecorella dipinta, pronta per entrare in scena il prossimo 8 dicembre, sembra sorridermi.


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