Intervista a Brunamaria Dal Lago Veneri, a cura di Oriana Bosco – da Centopaesi 2015.1
Il testo “Trentino. Una guida curiosa” dell’antropologa, scrittrice e pubblicista Brunamaria Dal Lago Veneri racconta il Trentino attraverso leggende, curiosità e segreti; tutti elementi che, ci insegna questo libro, esprimono l’essenza e lo spirito della terra in cui nascono.
Il libro ci ha tanto colpito che abbiamo deciso di andare ad incontrare l’autrice, che con estrema gentilezza ha accolto la nostra richiesta invitandoci per una chiacchierata nella sua abitazione a Bolzano. Quello che ci interessa è approfondire il perché in un luogo si sedimentino usanze, storie o miti, e come questo patrimonio venga preservato, valorizzato o alimentato dalla popolazione ai giorni nostri.
La guida curiosa di Brunamaria Dal Lago Veneri si apre con una premessa: raccontare è un bisogno primordiale dell’uomo, e “la memoria è il vero specchio dell’anima di un popolo, delle sue credenze e della sua storia”. Una memoria che, come ci dicono i tantissimi racconti raccolti dall’autrice in tutti gli angoli del Trentino, trova infiniti modi e forme per esprimersi. E che si rinnova continuamente, grazie alla creatività e al contributo di molti.
“Le tradizioni rispondono ad una profonda necessità: riappropriarsi della propria identità.”
Vengono in mente le rievocazioni, le feste e i rituali che in molte realtà del Trentino vengono ancora oggi portate avanti, spesso proprio dalle Pro Loco: ad esempio il pino di Grauno, a carnevale, o le Feste Madruzziane a luglio. Ci viene da chiederci allora se queste rievocazioni abbiano solo valore “conservativo”, siano cioè un modo per mantenere un patrimonio immateriale che non potrebbe essere conservato in altro modo, o se assumono anche nelle versioni contemporanee lo stesso valore che avevano una volta, se rispondono agli stessi bisogni.
Da dove nasce il bisogno dell’uomo di avere dei riti?
Fin dall’antichità, l’uomo ha cercato modi e strumenti per misurare il passare del tempo, per scandirlo con ritmi regolari. I riti comunicano con alcuni bisogni insiti nell’animo umano, che difficilmente trovano espressione se non attraverso queste modalità. Mi riferisco in primo luogo al concetto di tempo, che è centrale nel caso delle rievocazioni di rituali e tradizioni antiche. Questa cadenza regolare, che oggi è utile anche per scopi turistici, perché un appuntamento fisso è più facile da ricordare, in realtà risponde ad un bisogno più profondo: recuperare il senso del passare del tempo e segnarlo con eventi significativi. Per questo, i riti popolari si collocano di solito nei momenti di passaggio tra le stagioni, ad esempio tra inverno e primavera.
Come si spiega l’interesse diffuso per la mantenere o riscoprire le proprie tradizioni? Cosa dà al singolo, per esempio, il fatto di rievocare fatti significativi della storia del suo paese?
Le rievocazioni oggi rispondono ad un significato preciso: trovare il perché certe tradizioni sono nate, e scoprire cosa queste tradizioni dicono non solo della nostra società, ma anche di noi stessi. Servono quindi per riconoscersi, per rispondere ad un proprio bisogno interiore. Inoltre, il ritorno di questi eventi, il fatto che si ripetano ciclicamente, crea un senso di sicurezza e di speranza. Sono quindi eventi che rispondono ad una necessità profonda: riappropriarsi della propria identità.
Sembra però che la necessità di ricercare le proprie tradizioni sia più presente nelle valli e nelle periferie, poiché la maggior parte delle rievocazioni storiche o delle usanze popolari hanno luogo nei paesi. Come si spiega questa differenza?
Con il fatto che in città c’è più mescolanza tra persone provenienti da tradizioni diverse. Il fatto che molte persone si siano inurbate, cioè abbiano lasciato il paese per la città, implica anche che spesso essi abbiano abbandonato le usanze che li tenevano uniti alla loro terra. E’ vero che, in particolare in montagna, queste tradizioni sono generalmente mantenute di più rispetto alla pianura, e addirittura più si sale in altitudine, più esse sono forti e radicate. Basti pensare ai riti di carnevale di Penia, paese vicino a Canazei a 1500 metri d’altitudine. Chi è rimasto in montagna e non si è spostato a vivere in città, ha fatto di tutto per tenere vive queste tradizioni. Esse infatti, per chi abita quel luogo, sono considerate elementi che mostrano il valore delle persone e della cultura locale.
Da questa intervista davvero piacevole con Brunamaria Dal Lago Veneri, ci rimane un pensiero. Il fatto che molte Pro Loco si impegnino con sforzi talvolta anche notevoli per tenere vive le tradizioni popolari, non risponde solo al bisogno di avere un ritorno turistico, o per evitare l’imbarazzo di interrompere un appuntamento sempre rispettato; serve soprattutto, a chi lo fa, per sè stesso, per delineare la propria identità e le proprie radici, per sentirsi parte di una comunità e per dare un senso al tempo che passa. Questo beneficio può spiegare in parte, forse, anche il fatto che oggi molte persone si dedichino ad attività di volontariato.
Brunamaria Dal Lago Veneri

Brunamaria Dal Lago Veneri è nata a Bolzano, dove vive e lavora. Scrittrice, pubblicista, traduttrice, autrice di testi per trasmissioni radiofoniche e televisive e per il teatro. Il suo campo di ricerca è la tradizione, tra riti, racconto e storia del mondo plurilingue. Visiting professor presso l’Università di Lugano con corsi monografici di antropologia culturale, relatrice per l’Università di Trento, Gorizia, Innsbruck e Vienna. Editorialista per il Corriere della Sera e collaboratrice per la Rai locale e nazionale. Tra le pubblicazioni: Guida insolita ai castelli del Trentino (Newton Compton Editori), Alto Adige. Terra di feste, riti e tradizioni (Giunti Editore).


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