Dal Brasile alla Bosnia: un piccolo viaggio tra le comunità fondate dai migranti trentini all’inizio del Novecento, ancora oggi considerate delle oasi per il nostro dialetto.
Il dialetto trentino è una lingua complessa con una storia antica, arricchita dalle influenze venete, lombarde e tedesche dei territori circostanti. Un vero e proprio puzzle lessicologico che si sviluppa diversamente a seconda del luogo che vogliamo considerare: dalla Val di Fiemme con le sue contaminazioni ladine, alla Val di Cembra con la propria minoranza linguistica di origine bavarese.
E se vi dicessimo che il dialetto trentino non si ferma ai confini della nostra regione? Se esistesse un’altra città di Trento?
Tra il 1860 e il 1920 furono circa 30.000 i migranti provenienti dal Trentino che si stabilirono in piccole colonie sparse principalmente tra il Brasile e la Bosnia, in cerca di una vita migliore. Come conseguenza di questi importanti flussi migratori, nel 1860, gli abitanti di quello che all’epoca era il Tirolo italiano fondarono la cittadina di Nova Trento nello stato federato del Brasile, Santa Catarina (che ha come patrono proprio lo stesso San Vigilio), realizzando così una rete di condivisione culturale che ha mescolato, nel corso degli anni, gli usi autoctoni con le tradizioni delle nostre montagne.
La colonia bosniaca di Stivor, una comunità fondata nel 1882 dagli abitanti della Valsugana e sorta sui territori strappati al dominio ottomano che l’imperatore Francesco Giuseppe I aveva concesso per ovviare alla devastante esondazione del fiume Brenta, è un altro valido esempio di microcosmo trentino all’estero.
Nel corso degli anni, i migranti trentini hanno spesso viaggiato tra questa cittadina e l’Italia, stabilendosi alternativamente in un luogo o nell’altro a seconda delle necessità e finendo col creare a Roncegno, nel 1997, il “Circolo dei Trentini di Stivor”, che riunisce tutti gli stivoriani rientrati in patria.
In questo contesto di mescolanze culturali, nasce il neotrentino: una lingua ibrida che trae origine dal dialetto così come lo conosciamo, arricchendolo con espressioni derivanti dalle parlate locali. Numerosi sono stati gli intellettuali che si sono dedicati proprio ad analizzare, in un’ottica sociolinguistica, le variazioni dialettali riscoperte all’estero: è il caso di Ivette Marli Boso, nata a Nova Trento nel 1968 da una famiglia di emigranti valsuganotti, che ha condotto uno studio riguardante l’evoluzione del dialetto trentino nei paesi sudamericani dopo essersi laureata all’Università di Trento in Lingue e Letterature Straniere, pubblicando poi il saggio “Noialtri chi parlen tuti en italian” per il Museo Storico di Trento; o di Mario Bonatti, discendente da una famiglia di Mattarello, che ha realizzato l’opera critica “Acculturazione linguistica” mettendo a confronto il linguaggio usato in Trentino con quello sviluppatosi negli insediamenti in Brasile.
Da idioma regionale, il dialetto dunque attraversa i continenti e diffonde le tradizioni del nostro territorio anche in luoghi inaspettati, creando piccole isole di patrimonio immateriale trentino e costruendo un vero e proprio ponte culturale.
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